Chronology of an addiction

Apr 2512, Dokska, Koroleva
Era un giorno perfetto quello in cui mi ritrovai a bussare alla porta della nuova casa di Cezar. Fottutamente perfetto. Il sole di Dorado splende raramente nei cieli di Dokska, ma in quel giorno aveva deciso di celebrare la mia umiliazione con una certa ironia. Avrei quasi preferito arrivare bagnato e tremante sotto la pioggia gelata della falsa primavera korolevita. Quando mio cugino mi aprì la porta, invece, non avevo scuse per la mia espressione miserabile. 

Cezar ed io ci siamo sempre ed inspiegabilmente capiti al volo sin da quando le nostre vite si sono intrecciate, abbastanza presto da poterne cambiare a vicenda il corso. Avevo appena tre anni quando il fratello di mio padre e sua moglie sono morti in un incidente alla Chelyabinsk e nostro cugino è stato adottato nella già larga famiglia Woyaczek. Cezar, come me, non ha mai sopportato la vita in fabbrica, lo avvelenava, seppure in modo diverso da come accada a quelli che, a trent'anni, muoiono con dei polmoni che paiono un ceppo di legno bruciato. Da quando ne ho memoria, Cezar ha sempre incorporato uno strano senso di protezione che non ho mai provato nei confronti di mio padre Joachim, forse per il semplice fatto che, quel tipo di protezione, la riuscivo almeno a capire. Fatta di nocche spaccate e non del sudore stantio che si accumula alla fine della dodicesima ora di turno. Almeno finché Cezar ha lasciato anche quella casa per trasferirsi, ventunenne, in quella Dokska fumosa dove ci siamo ritrovati a leccarci le ferite poco prima della fine della guerra. Dove mi ritrovavo, un paio d'anni dopo, a chiedergli aiuto sperando fosse per l'ultima volta. 

L'appartamento al quindicesimo piano di quel colosso di cemento era decisamente di lusso per gli standard a cui ero abituato. Le finestre del salotto davano sull'affollatissima e rumorosa Sofiyskaya ave., i mobili erano di prima mano, le tubature rinnovate da poco, i soffitti più alti di almeno un metro rispetto alle gabbie senza aria dove siamo cresciuti. Mi ritrovavo a camminare a passi lunghi, gettando sguardi curiosi che soffocavo solo per orgoglio. 
"Chiaro little Zef, te l'ho sempre detto che avresti potuto lavorare per Vasilevich, non te l'ho sempre detto?"
Lo sguardo sorridente e soddisfatto di Cezar non riusciva a togliermi quella vaga tensione di dosso. Confermai con un serrato verso di assenso, piegando le labbra in un'espressione muta. La rapidità con cui il volto di Cezar può oscillare tra docile eccitamento a preoccupante minaccia ha sempre avuto un che di sconcertante.
"Se non sei convinto potevi fare a meno di venire a rompermi il cazzo, Zef. Con quest'attitudine finirai solo per metterci nei casini"
"No! No, ci sto, ci sono. Sicuro. I won't mess up."
Annuì, più volte, per dare forza a quell'affermazione che parve ad entrambi una menzogna. Cezar mi osservò a lungo, sbuffò una risata ed una nuvola di fumo. Mi schiantò una mano dietro la nuca, avvicinando con troppa enfasi le nostri fronti.
"Of course you won't, we're in this together"

Ott 2512, Dokska, Koroleva
"Non è questo che mi avevi promesso, Zenon"
"Ptaszku... Solo un altro mese. E poi dovrei avere i soldi per comprarci una casa, una casa vera. Possiamo andarcene da qui. Ci sono delle praterie stupende a Idaho, le ho viste mentre ero su Spartaca. Ci verresti? Solo noi tre..."
"... Solo un mese?"
"Un mese soltanto."

Gen 2513, Dokska, Koroleva
Wilk? Il nome mi suonava conosciuto, in qualche modo noto, ma non riuscivo a concentrarmici. Stavano succedendo cose orribili intorno a me e non riuscivo a pensare di avere tempo per fare altro se non cercare di liberarmi da quella melma appiccicosa che mi sigillava i piedi al suolo e che mano a mano stava ingoiando i mobili del nostro salotto.

"Bazyli! Zylek, porca puttana vieni qui, sali in alto, più in alto possibile!"
"Che c'è?"
"Cazzo, non lo vedi, sta salendo!!"
"AHH! Come lo fermiamo?"
"Non lo so... io credo che rimarrò a cavallo."
Bazyli si sollevò in punta di piedi sul divano, alzando una gamba alla volta, ad ogni passo le gambe gli si allungavano di più.
"Sì, vanno bene anche i trampoli."
"I trampoli."
Ci misi qualche secondo ad identificare le forme di quelle ombre striscianti nel lago di petrolio ai nostri piedi. Eravamo nel bel mezzo di una battuta di caccia e non ci sarebbe voluto molto prima che quel cazzo di serpentone ci facesse a pezzi. Non credevo però che fosse così rapido. Si schiantò contro Bazyli ad una velocità disumana, circondandolo e stritolandolo tra mille spire, lo sentivo gridare nel panico, temendo solo maggiormente che quelle grida sarebbero presto cessate. Presi la prima cosa che avevo a portata di mano, un grosso portacenere, con cui colpì quel drago alle spalle. Più volte, finché non lo vidi finalmente accasciarsi a terra, immobile, risucchiato dalla melma densa e nera ai nostri piedi.

Non lo so quanto durarono le grida di Resia. Avevo la sensazione di non aver sentito la sua voce per giorni, ma può darsi che abbia urlato per ore intere prima che mi accorgessi della sua presenza. Quando aprì gli occhi la ritrovai schiacciata contro una parete del nostro salotto, le mani strette contro la bocca, a tapparla, gli occhi arrossati di lacrime, mi guardava come se avesse paura di me. Le sue mani erano sporche di sangue. Solo allora mi accorsi che anche le mie lo erano. E tutto il salotto era imbrattato, qua e là, di schizzi rossi. Wilk. Allora me lo ricordai. Lo avevamo trovato per strada il giorno in cui portammo a casa Jarek dall'ospedale, un cucciolo bastardo di ovcharka abbandonato per strada. Lo avevamo portato con noi, sarebbe cresciuto passo passo insieme a nostro figlio. Invece non fu così. Wilk giaceva riverso in mezzo al salotto, il posacenere con cui gli avevo schiacciato il cranio era ancora conficcato in quella poltiglia di ossa e sangue e pelo grigio. Così piccolo, eppure mi era sembrato avesse opposto una strenua resistenza. Resia deve aver pensato che probabilmente non avrei fatto differenza se si fosse trattato di Jarek. Io credo di sì, ma certe cose è meglio non doverle scoprire. Il giorno dopo aveva preso le sue cose, le cose di nostro figlio ed era scomparsa.

Mar 2514, Dokska, Koroleva
ITK, ispravitelno-trudovaya koloniya, colonia correttiva di lavoro. Quella di Yavas è una delle peggiori di Koroleva, dicono che peggio c'è solo Fargate, ma allora non voglio immaginare che cosa sia quel posto perché io già lì ci stavo lasciando la pelle. Disintossicarti in una prigione korolevita è una tortura peggiore della morte. Quando i deliri dell'astinenza mi svegliavano nel cuore della notte ci pensavano i miei compagni di cella a soffocare le mie grida. Il programma di rehab più drastico del 'Verse, quando ne uscì diciotto mesi dopo ero pulito, ma in un modo che avrei preferito non essere.

Gen 2517, Capital City, Horyzon
Grigoriy abita a Cap City da qualche anno, avere il suo contatto è stato l'unico favore che ho chiesto a mio padre prima che decidessi di partire e lasciare casa, l'unica volta in cui ci siamo sentiti da mesi a questa parte. A Solidarnosc non ci sono più tornato e l'appartamento che ero riuscito a comprare a Dokska l'ho venduto per ripulirmi la fedina. Già dovrò avere a che fare con quelli che storceranno il naso per le lettere del mio IdN, ci manca solo che mi presenti con una condanna per spaccio. Nel bagno del cruiser che mi ha portato a Horyzon passando per Spacebird e Meili ho consumato l'ultima dose di Switch che avevo con me, di cui avevo bisogno per soffocare il dolore nei muscoli prima di smettere, un'altra volta. Grigoriy lavora in un'officina di Dog Town, si occupa dell'elettronica ed a quanto pare è piuttosto bravo, abbastanza da essersi tenuto stretto quel lavoro per due anni. Una volta a settimana andiamo a vedere i tornei di videogiochi nello scantinato di Peta-Joe. Quando pensi di aver visto ogni sorta di autolesionismo, la gente riesce ancora a stupirti. Non ho partecipato, devo riprendere la mano. E non ho tutta questa fretta di bruciarmi. I've seen a flatline and no thanks.
"Quindi dicevi Zeno, hai trovato un lavoro?"
"Sì, avevano un posto da magazziniere al grosso centro commerciale dietro la Siren Street."
"Ah. Ok."
"Che cazzo c'è?"
"No dico... credevo avessi esperienza come medico. Perché non fai richiesta ad un ospedale?"
"Yeah sure, as if. Ti dico io quanto durerebbe l'intervista, il tempo di leggere il mio nome"
"You can try. Won't hurt."  
"... La vita ci lancia delle sfide per capire di che pasta siamo fatti, no? Beh a quanto pare sono fatto di switch e musica sintetica. Non sono fatto per quei posti."
"Ma sei pulito ora, no?"
"Sure. Till I'm not. Sono il peggior tipo di tossico, Greg. Accumulo squallore e miseria, li riscaldo in un cucchiaio per dissolverli nella mia bile, per iniettarmele in vena e poi rifare tutto da capo. Andare avanti, svegliarsi, uscire, rubare, fottere la vita della gente, dandomi un'altra spinta verso il giorno in cui tutto andrà a puttane. Perché non importa quanto rubi e metti da parte, non ne hai mai abbastanza, perché non si tratta dei soldi. E prima o poi qualcosa va inevitabilmente storto. E quando va bene ridi un sacco e scopi un sacco, il mondo lo vedi a piccoli barlumi di speranza. E quando va male... non c'è via d'uscita. E pensi che quella sensazione basti a farti smettere. But it never does."
 "Ma sapere che ferisci le persone che ti stanno vicino, non è peggio?"
"Dovrebbe... ma no, non lo è. Siamo tutti dei tossici, Greg, proviamo a riempire un vuoto. Alcuni di noi sono solo più bravi a nasconderlo. So, what's yours?"
"..."
"Torniamo a casa. Mi sto annoiando."

Enriched environment

Non è così difficile da capire, è una verità cui siamo abituati da sempre, lo possiamo spiegare con facilità e se lo chiedessi a cento persone mi risponderebbero tutte allo stesso modo. What causes drug addiction? Mi guarderebbero come fossi un idiota, esitando a rispondere quasi pensando che ci sia un tranello nella domanda fin troppo banale: "Uhhh, drugs?".

La red matcha è forse la droga con la più intensa costrizione chimica tra quelle conosciute nel 'Verse. La componente attiva si ottiene da un'alga rossa che si trova nei mari salati di Shijie, mischiata a dei sottoprodotti della switch. Dicono che basti una dose per averne un desiderio ardente di consumo. Dietro l'esca si nasconde un amo che non lascia più la presa. È questo che significa dipendenza. Me lo spiegò a modo suo Kuzja nello scantinato in cui cucinava metanfetamine. Credevo di aver attraversato la città congelata per imparare a sintetizzare le droghe che spacciavo ogni sera a Zadoksvarechye. Invece, senza dire una parola, prese due topi, rubati alle fognature della città, e li mise in due gabbie separate con due bottiglie d'acqua. In una bottiglia per gabbia dissolse alcuni grani di switch. Poi continuò a lavorare ed a me disse solo di osservare i topi. Tutto il giorno. Di sera mi rimandò a casa, dicendomi di tornare il giorno dopo. Non capivo il senso di quella perdita di tempo, ma era meglio che rimanere a gelare agli angoli della Pustoy pereulok. Mano a mano che i giorni passavano il primo ratto diventava sempre più ossessionato con l'acqua drogata, continuava a tornare all'abbeveratoio per averne ancora, ancora e ancora, finché un giorno arrivai nel laboratorio interrato e trovai il topo morto. Kuzja mi guardò per qualche secondo, poi sentenziò con tono chiaro "Ora cuciniamo". Quella lezione per me era solo la conferma di qualcosa che sapevo già, che in quel buco ci saremmo morti tutti e che era ora di abituarsi all'idea.

L'altro giorno ho trovato un articolo di un certo Zhiwei Xu, nella pila di cartelle di un medico del reparto di neurologia. Parlava, con mio stupore, di quello stesso esperimento, sottolineando qualcosa:
[...] il topo è solo nella gabbia e non ha altra attività da svolgere se non quella di consumare acqua, l'unica possibilità di scelta ridotta all'alternativa tra acqua distillata ed una soluzione di morfina. L'uso compulsivo di droghe da parte di questi animali è un artefatto delle condizioni radicalmente isolate della situazione sperimentale standard. Animali inseriti in un ambiente socialmente arricchito (enriched environment, EE) hanno pochi problemi a resistere a sostanze psicoattive. Inoltre, anche dopo sessanta giorni di utilizzo di morfina, i topi inseriti in un EE hanno interrotto l'abuso della sostanza ed hanno assunto nuovamente uno stile di vita sano.
Insomma, bastava una gabbia di lusso, di quelle che i topi delle fogne se le sognano, con palle colorate, tunnel, ruote, cibo di prima qualità. Mancavano giusto le puttane. E questi stronzi hanno smesso di farsi di switch.

Se davvero non fossero le droghe, se in effetti fosse la disconnessione ed il distaccamento e la frammentazione a causare la dipendenza? Kuzja si è sbagliato? Io mi sono sbagliato per tutta la vita? Se è così allora la verità è che siamo soli. Abbiamo creato società umane in cui è più facile che mai recidere i contatti con altre persone. Non si tratta più di un recupero individuale, ma quello di una società infetta, il recupero dalla malattia di isolamento che sta calando su di noi come una nebbia.
Quello che questi studi si dimenticano di sottolineare è che le loro osservazioni non sono sempre vere, sono un riassunto generalizzato volto ad evidenziare ciò che sta loro comodo per avallare le loro tesi. Poi a loro non interesse granché di quel 10-20% di topi che non ce la fa comunque, indipendentemente da quanti colori abbiano le pareti che li circondano.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/98787
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0014488607000052

After midnight

I corridoi semi vuoti dell'ospedale di Capital City diventano più labirintici di notte, forse perché solo allora ho la possibilità di uscire dal reticolato dei reparti cui sono solitamente affidato. La luce è solo quella artificiale che rende gli interni dell'edificio innaturalmente bianchi, credo che sia pensata per tranquillizzare i pazienti, ma non vedo in che modo. I turni notturni sono privi della pressione del giorno, della presenza oppressiva dei medici che mi controllano e dei malati che mi nauseano. Ho tutto il tempo per aggirarmi nelle stanze vuote, trascinato solo dalla mia assenza di peso, magari i pazienti dimessi hanno lasciato qualcosa nei cassetti. Faccio fatica a ricordare che a fine del mese riceverò uno stipendio o a fidarmi del fatto che succederà davvero. Le abitudini sono dure a morire. Di notte seguo le autopsie di Thackery. Li sento i commenti degli altri chirurghi che dicono che è un fallito a stare rinchiuso in quel seminterrato, che la sua carriera è finita. Sono talmente occupati a vincere dei premi di cristallo a dei congressi che loro stessi pagano migliaia di dollari, che non si accorgono di avere un dio nella cantina. Akira mi ha insegnato a tagliare e ricucire i morti, ma con la stessa grazia con cui si svuotano le budella di un maiale. Thackery opera come se avesse sotto le mani un vivo. Ed a volte aspetto il momento in cui lui chiude l'incisione ad Y, aspettandomi per un istante che il petto si gonfi di nuovo sotto la pressione dei polmoni. Non sarò mai come Thackery, ma per la prima volta mi piace guardare qualcuno disegnare con lo scalpello.
Di notte l'ospedale è solo mio, di qualche vecchio insonne e di altri medici di turno che posso evitare senza difficoltà. Buona parte del tempo la passo a fumare sul tetto quando non fa troppo freddo e a fare le corse sui lettini insieme a Dashawn, l'infermiere del 5°. Ogni tanto qualcuno viene a rompere i coglioni perché gli fa male la schiena o è disidratato, per il resto si tratta di riempire otto lunghe ore di vuoto. Credevo di aver imparato a convivere con me stesso, ma era la switch ad aiutarmi. Svariati anni di dipendenza nel bel mezzo di un'epidemia, circondato da morti viventi. Ma non più, sono negativo, pulito, è ufficiale. Ed una volta che il dolore scompare, inizia la vera battaglia. Depressione. Noia. Ti senti talmente piatto da volerti far saltare la testa, per sentire, almeno un'ultima volta, qualcosa che infranga quell'intorpidimento.

Gearwheels

Sono passato da Bullfinch una volta, prima che la guerra di Polaris li costringesse a mangiarsi le suole delle scarpe; in un allevamento gonfiavano il fegato delle anatre fino a farlo scoppiare. Gli inchiodavano le zampe al pavimento e gli ficcavano un tubo in gola, versandoci grano bollito e grasso finché quelle non schiattavano. Allora ho pensato, “That was it”. Ci si dimentica velocemente di essere uomini a Koroleva, ci si trasforma in macchine e meccanismi, entra un prodotto e ne esce un altro. Sei solo un elaboratore. Mamilka lo ha capito quando avevo tre anni, per questo ha messo vestiti, banconote e l'anello di sua socera in un fagotto ed è partita con un mercantile per Dorado. Ci ha creduto a quel tizio di Clackline che le ha detto che le avrebbe dato una bella casa, ma che credi i poveracci ce li hanno anche altrove e non sono mica diversi, le bugie le sanno raccontare altrettanto bene quando devono fare a pezzi i sogni di una donna. A far la sarta a Baton Rouge o a Solidarnosc è lo stesso, sempre sarta è rimasta, ma penso le abbiano fatto credere che ci fosse qualcosa di sbagliato nel modo in cui non riusciva a permettersi i vestiti che cuciva invece per le donne della capitale. Dopo due anni è tornata a casa, lei non ha detto niente e tatko non ha detto niente, credo si siano solo guardati negli occhi per una notte intera e poi lui se l'è ripresa in casa come se non l'avesse mai lasciata. Ricordo di averla odiata per averci abbandonati, ma a pensarci ora credo che avrei fatto lo stesso. Anzi, non riesco a spiegarmi perché sia tornata a respirare gli scarichi di Koroleva.

Broken glass

C'è un vecchio bar a Dokska in cui vado di solito gli ultimi giorni del mese, in quei giorni in cui evito di ritornare sul luogo dei miei delitti, quando gli affittuari cominciano a rendersi conto che non pagherò un cazzo, "Quanto mai mi sono fidato di quello sporco polski", diranno amari ai loro amici. Ed avrò fatto loro un favore, perchè avranno almeno qualcuno su cui riversare la loro frustrazione. Proszę bardzo, stronzi. Il prezzo degli alcolici si regola in base a quello della benzina. È uno di quei posti immerso nell'aria di autocommiserazione dei suoi avventori, che sembra che ti fanno firmare un contratto all'entrata, che lo sai che ci vai soltanto per goderti qualche ora di fiele. È l'unico motivo per cui riesce ancora a guadagnare abbastanza da pagare le bollette.

Ce lo vedo sempre quel vecchio, in un angolo buio, più buio degli altri. Chissà che cosa lo spinge a rivolgermi la parola questa volta.
"Sai, là dove hanno costruito quel grattacielo c'era un campetto. Insieme alla mia banda correvamo sempre in giro per il quartiere ed a mezzogiorno giocavamo a pyramid. Ero sempre il più piccolo e dovevo stare in porta. E lì, all'angolo, il mio vecchio mi ha insegnato ad andare in bicicletta. Lascia che te lo dica, non so quante volte sono caduto di faccia sull'asfalto. Ma non ho smesso, provavo, provavo, finché un giorno riuscii ad andare da solo lungo questa strada. Vabbè, forse la bicicletta era un po' troppo grossa per me, la gente per strada rideva sempre quando mi vedeva passare. "Non lasciarti deridere", mi diceva mio padre. Ma non avevo la sensazone che ridessero di me. Avevo la sensazione che si rallegrassero."
"E quando è andato via?" 
"Ad un certo punto nel mezzo della notte mio padre mi ha svegliato, dicendomi "Vieni per strada ragazzo. Ti voglio mostrare qualcosa." Allora sono andato con lui per strada. Mi ha dato un paio di sassi in mano ed ha detto "Adesso fammi vedere di che pasta sei fatto". Ha preso lui stesso un sasso ed ha infranto questa vetrina. Proprio qui dove siamo seduti adesso. E la strada era piena di persone. Ed era buio fitto, non chiaro come oggi dove tutto è illuminato e brilla, perché la gente non riescie più a sopportare l'oscurità. Buio pesto. E tutte le persone hanno lanciato sassi nella vetrina. E mio padre ha fatto questo negozio a pezzi. Ed io ero là in mezzo alla strada e tutto era pieno di vetro rotto e bruciava e la strada brillava perchè il fuoco era così luminoso. E posso ricordarmi con chiarezza che ad un certo punto cominciai a singhiozzare. Ed ora indovina perché." 
"Perché?" 
"Perché pensavo "Con tutti questi frammenti di vetro non potrò più andare in bicicletta""
Non glielo dico che la gente come suo padre alla gente come mio padre gli ha spaccato il negozio e la schiena e la testa per decenni, che dovrei fargli sputare quei denti finti sul bancone finché non mi ha chiesto scusa per questi trent'anni di merda, qui dove pure la merda ti si congela tra le chiappe. Ma chi me lo fa fare.